STUDIO LEGALE VIRDIS
DIRITTO CIVILE, PENALE E AMMINISTRATIVO
CONSULENZA LEGALE - CRISI IMPRESA E SOVRAINDEBITAMENTO
APPROFONDIMENTI E NOVITA'
Appalti, gli aumenti salariali futuri già previsti dal CCNL non possono essere coperti dal meccanismo della revisione dei prezzi
(Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 25 luglio 2025, n. 6638)
Gli aumenti salariali, se già conosciuti al momento della gara e della presentazione dell’offerta, non possono attivare la revisione prezzi, né possono essere “scaricati” sull’amministrazione per giustificare un’offerta economicamente insostenibile.
Le clausole di revisione prezzi servono a tutelare due esigenze:
* evitare che il corrispettivo contrattuale perda equilibrio per variazioni non controllabili dei costi;
* impedire che l’operatore, schiacciato da costi imprevedibili, riduca surrettiziamente la qualità delle prestazioni.
La revisione si applica solo a variazioni sopravvenute oggettive, non governabili e che si manifestano durante l’esecuzione del contratto; non può essere usata per colmare lacune o errori di valutazione dell’offerta iniziale.
In caso contrario il meccanismo revisionale verrebbe a trasformarsi in una sorta di automatismo che consentirebbe agli operatori di sottostimare i costi noti nella fase di gara per poi recuperare le somme in fase di esecuzione.
Il D.lgs. 36/2023 continua il solco già tracciato dal D.lgs. 50/2016, imponendo alle imprese di indicare in offerta, a pena di esclusione:
* i costi della manodopera
* i costi per la sicurezza.
L’obiettivo è assicurare che le imprese facciano una reale analisi preliminare dei costi e che l’offerta sia sostenibile lungo tutto l’arco temporale del contratto.
In tema di revisione dei prezzi, l’art. 60 del nuovo codice non si basa più sull’imprevedibilità degli eventi, ma su un meccanismo automatico di indicizzazione fondato su soglie e indici oggettivi.
Il legislatore ha introdotto una revisione “permanente”, attivabile automaticamente quando le variazioni dei costi superano determinate percentuali, senza più richiedere eventi eccezionali o straordinari.
In conclusione, dalla sentenza del Consiglio di Stato si ricava che:
* l’aumento del costo del lavoro derivante dal rinnovo di un CCNL già stipulato non è un evento imprevedibile;
* la revisione prezzi non può coprire costi futuri già noti al momento della gara;
* l’impresa è responsabile di valutare l’intero ciclo degli aumenti salariali previsti;
* l’eventuale discordanza tra i calcoli della stazione appaltante e quelli dell’offerta non incide sulla verifica di anomalia, che si proietta sulla fase di esecuzione del contratto;
E' legittimo il regolamento comunale che vieta di incatenare biciclette e veicoli simili a infrastrutture pubbliche non destinate alla sosta
(Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 17 settembre 2025, n. 7353)
L'intervento non rientra nella disciplina della “sosta”, regolata dal Codice della Strada, ma costituisce una misura di polizia urbana a tutela del decoro urbano, dei beni pubblici, dell'ordinato uso dello spazio cittadino, della fruibilità dei percorsi pedonali.
Il divieto di incatenamento non mira a modificare le zone in cui è vietata la sosta delle biciclette secondo il Codice della Strada (artt. 157 e 158), ma a tutelare nell’ottica del decoro urbano quelle “infrastrutture pubbliche che (…) insistono principalmente sui marciapiedi e sugli altri elementi di arredo urbano di piazze, parchi, scale, gallerie, portici, recinzioni di monumenti” e in relazione alle quali è già “generalmente vietata la sosta dei veicoli”.
Ciò colloca il potere regolamentare nel perimetro dell’autonomia comunale, non nella disciplina della circolazione stradale.
Regione Toscana, approvata la nuova Modulistica in materia edilizia
Con Decreto dirigenziale n. 23162 del 4 novembre 2025, la Regione Toscana ha disposto l'aggiornamento della modulistica in materia edilizia.
Il Decreto adegua la modulistica alle previsioni degli Accordi Governo - Regioni e Enti Locali del 27 marzo e del 30 luglio 2025, che hanno recepito le novità introdotte in materia edilizia dal c.d. "Decreto Salva Casa" (Decreto-legge 69/2024, convertito in Legge n. 105/2024).
Qui di seguito sono elencati i nuovi moduli, che abbracciano tutti i titoli abilitativi attualmente previsti dalla normativa edilizia [Permesso di costruire, SCIA, SCIA alternativa al Permesso di costruire, CILA]:
Compravendita e intervento di un secondo mediatore: il primo mediatore ha diritto alla provvigione?
(Corte di cassazione, sez. II civile, sentenza 2 febbraio 2023, n. 3165)
Con una interessante pronuncia resa in tema di mediazione immobiliare, la Suprema Corte ha enunciato il seguente principio di diritto: "ai fini del sorgere della provvigione ex art. 1755, comma 1 c.c., è necessario che la conclusione dell'affare sia effetto causato adeguatamente dal suo intervento, senza che il mettere in relazione delle parti tra di loro ad opera del mediatore sia sufficiente di per sé a conferire all'intervento di questi il carattere di adeguatezza, né che l'intervento di un secondo mediatore si sufficiente di per sé a privare ex post l'opera del primo mediatore di tale qualità di adeguatezza"
Diritto all'oblio: è ammissibile un ordine di deindicizzazione o rimozione extraterritoriale nei confronti del gestore del motore di ricerca?
(Corte di cassazione, sez. I, ordinanza 24 novembre 2022, n. 34658)
La Corte di cassazione, decidendo su un ricorso promosso dal Garante per la protezione dei dati personali, ha affrontato il tema della ammissibilità di un ordine di deindicizzazione o rimozione extraterritoriale nei confronti del gestore del motore di ricerca (global delisting o global removal).
Al riguardo ha affermato il principio di diritto secondo cui la tutela del diritto all'oblio in conformità al diritto dell'Unione consente alle autorità italiane (Garante privacy e giudice) di ordinare al gestore di un motore di ricerca di effettuare una deindicizzazione su tutte le versioni del motore, anche extraeuropee, previo bilanciamento tra il diritto della persona interessata alla tutela della sua vita privata e alla tutela dei suoi dati personali e il diritto alla libera informazione, da operare secondo gli standard di protezione dell'ordinamento italiano.
Il riconoscimento del debito fuori bilancio non ha valore di ricognizione di debito
(Cassazione civile, sez. II, ordinanza 13 maggio 2022, n. 15303)
La Corte di cassazione affronta un tema piuttosto ricorrente nella prassi dei rapporti tra enti pubblici - nella specie un Comune, e loro fornitori; quali sono i presupposti per la costituzione di un rapporto contrattuale tra ente e fornitore? La Suprema Corte coglie l'occasione per ricostruire i termini della questione affermando alcuni importanti principi:
-> il contratto di prestazione d'opera professionale, stipulato da un ente locale col professionista/fornitore, è nullo sia quando la delibera di conferimento dell'incarico non è accompagnata dall'attestazione della necessaria copertura finanziaria, sia quando è priva della forma scritta;
-> di queste due ipotesi di nullità, solo la prima è sanabile attraverso la ricognizione postuma di debito da parte dell'ente, non la seconda;
-> ove manchi un contratto redatto in forma scritta e un impegno di spesa, non sorgono obbligazioni a carico dell'ente, bensì dell'amministratore o del funzionario, i quali ne rispondono con il proprio patrimonio, con la conseguente esclusione della proponibilità dell'azione di indebito arricchimento nei confronti dell'ente (per difetto del requisito della sussidiarietà prescritto dall'art. 2042 c.c., il quale presuppone che nessun'altra azione sia proponibile non solo nei confronti dell'arricchito, ma anche nei confronti di terzi);
-> in questa ipotesi è fatta salva la facoltà dell'ente di riconoscere anche a posteriori il debito fuori bilancio, con apposita deliberazione consiliare, nei limiti degli accertati e dimostrati utilità e arricchimento per l'ente stesso;
-> la delibera comunale con la quale, in sede di riconoscimento di debito fuori bilancio, il Comune destina una somma al pagamento del corrispettivo dell'opera eseguita, in assenza di un valido contratto a monte fonte di obbligazione, non può configurarsi come ricognizione postuma di debito; il riconoscimento infatti non innova la disciplina che regola la conclusione di contratti da parte della Pa, né introduce una sanatoria per i contratti eventualmente nulli o comunque invalidi, come quelli conclusi senza la forma scritta richiesta ad substantiam.
Compravendita immobiliare e intervento del mediatore: quando sorge il diritto alla provvigione?
(Cassazione, sez. II civile, ordinanza 8 aprile 2022, n. 11443)
La Suprema Corte ha affrontato una questione da sempre oggetto di contenzioso nelle aule di giustizia; è il caso in cui le parti abbiano concluso un contratto, in special modo una compravendita immobiliare, con l'intervento di un mediatore, il quale rivendichi il diritto alla provvigione.
Quando sorge il diritto del mediatore alla provvigione? Il che equivale a chiedersi quale sia il ruolo minimo che il mediatore deve rivestire nell'ambito della trattativa e della successiva conclusione del contratto, al fine di poter rivendicare il diritto alla provvigione.
La Cassazione ha risolto la questione affermando il principio secondo il quale il diritto alla provvigione sorge tutte le volte in cui la conclusione dell'affare sia in rapporto causale con l'attività intermediatrice; rapporto causale che sussiste quando il mediatore abbia messo in relazione le parti, sì da realizzare l'antecedente indispensabile per pervenire alla conclusione del contratto, secondo i principi della c.d. causalità adeguata.
In particolare - ha precisato la Corte - la prestazione del mediatore può esaurirsi nel ritrovamento e nell'indicazione di uno dei contraenti, indipendentemente dal suo intervento nelle varie fasi delle trattative sino alla stipulazione del contratto, sempre che questo possa ritenersi conseguenza prossima o remota dell'opera dell'intermediario tale che senza di essa, secondo il principio della causalità adeguata, il contratto stesso non si sarebbe concluso.
Distanza dei fabbricati dal confine: conta la destinazione del fabbricato o la zona in cui si trova?
(Cassazione, civile, sez. II, sentenza 22 marzo 2022, n. 9264)
La Corte di cassazione ha affrontato una questione interessante in materia edilizia, che può essere riassunta nei termini che seguono: la disciplina delle distanze dai confini applicabile a un fabbricato va individuata in ragione della sua destinazione o in ragione della sua ubicazione?
Per esempio: ai fabbricati destinati a civile abitazione realizzati in una zona omogenea dove tali fabbricati non sono consentiti si applica la disciplina delle distanze dai confini dettata per le zone in cui tali fabbricati sono consentiti o la disciplina della zona in cui i fabbricati si trovano?
Per rispondere alla domanda la Suprema Corte richiama l'insegnamento giurisprudenziale secondo il quale ciascun proprietario di un suolo edificatorio nel momento in cui vi realizza una costruzione trova i propri diritti e doveri conformati nelle normativa applicabile alla zona in cui si sviluppa la propria attività costruttiva.
La disciplina delle distanze di un fabbricato dal confine è legata alla zona nella quale il fabbricato insiste, non alla destinazione del fabbricato.
Ne consegue che l'eventuale difformità della destinazione del fabbricato rispetto alle destinazioni consentite dallo strumento urbanistico nella zona in cui il fabbricato insiste non incide sulla disciplina delle distanze dai confini.
In conclusione, dunque, la Corte di cassazione afferma il seguente principio di diritto: «La disciplina delle distanze delle costruzioni dai confini applicabile ai fabbricati situati in una determinata zona omogenea è individuata nella disciplina dettata dagli strumenti urbanistici per i fabbricati insistenti in tale zona, a prescindere dalla destinazione di tali fabbricati e dalla eventuale difformità della stessa rispetto alle destinazioni consentite dagli strumenti urbanistici per i fabbricati da realizzare in tale zona».
Accesso a cartella di pagamento: il concessionario può limitarsi a rilasciare la relata di notifica o l'estratto di ruolo?
(Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, sentenza 14 marzo 2022, n. 4)
E' stata sottoposta all'esame dell'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato una questione controversa in tema di diritto di accesso agli atti: a fronte della richiesta di ostensione di cartelle di pagamento da parte del contribuente, il concessionario della riscossione può limitarsi a rilasciare la sola documentazione relativa alla notificazione (sul presupposto che le cartelle siano “estinte”) o il solo estratto di ruolo? ...
Il Supremo Consesso, ripercorrendo le varie posizioni emerse in giurisprudenza, giunge a enunciare i seguenti principi di diritto:
1) il concessionario ha l’obbligo di conservare la copia della cartella di pagamento, anche quando si sia avvalso delle modalità semplificate di notificazione a mezzo di raccomandata postale;
2) se il contribuente richiede la copia della cartella di pagamento, e questa non è concretamente disponibile, il concessionario non può limitarsi a rilasciare il mero estratto di ruolo, ma deve rilasciare un'attestazione che dia atto e spieghi i motivi dell’inesistenza della cartella.
Annullamento di cartella di pagamento o ruolo: la liquidazione delle spese processuali
(Cass. civ., sez. VI–2, ordinanza 9 marzo 2022, n. 7716)
La Corte di cassazione ha enunciato un interessante principio di diritto in relazione alla liquidazione delle spese processuali in caso di accoglimento dell'opposizione a cartella di pagamento o ruolo esattoriale. La Suprema Corte distingue due ipotesi:
1) la cartella di pagamento è annullata oppure è accertata l'intervenuta prescrizione del credito in ragione dell'omessa notifica dell'atto presupposto: in questo caso l'annullamento è addebitabile all'ente impositore, che ne risponde anche nei rapporti interni con l'agente della riscossione. Il giudice di merito può quindi applicare il principio della solidarietà nelle spese della lite tra l'Agenzia delle Entrate Riscossione e l'ente impositore, ambedue soggetti legittimati passivi;
2) l'accoglimento dell'opposizione dipende esclusivamente dalla mancata notifica della cartella di pagamento o dalla prescrizione del credito a causa dell'inerzia dell'agente della riscossione dopo la notifica della cartella stessa: in questo caso, poiché l'illegittimità dell'atto è interamente addebitabile all'inerzia dell'agente della riscossione, la condanna solidale alle spese non è giustificata alla luce del principio di causalità. Quindi correttamente il giudice di merito decide di compensare le spese nei confronti dell'ente impositore, limitando la condanna a carico del solo agente della riscossione (la parte alla cui condotta è in concreto addebitabile l'accoglimento dell'opposizione).
Giudicato di assoluzione e giudizio civile: quali effetti?
(Cassazione, sez. II civile, sez. II, ordinanza 28 febbraio 2022, n. 6593)
La Corte di cassazione ha esaminato la questione degli effetti civili del giudicato penale, con particolare riferimento al caso della sentenza penale di assoluzione pronunciata non "con formula piena" ma ai sensi dell'art. 530, comma 2, c.p.p.; vale a dire, per mancanza, insufficienza o contraddittorietà della prova che il fatto sussiste, che l'imputato lo ha commesso, che il fatto costituisce reato o che il reato è stato commesso da persona imputabile.
La Suprema Corte, dando conferma al proprio orientamento giurisprudenziale ormai consolidato, ha precisato che, in base agli artt. 652 e 654 c.p.p., il giudicato assolutorio ha effetto preclusivo nel giudizio civile solo quando contenga un "effettivo e specifico accertamento circa l'insussistenza o del fatto o della partecipazione dell'imputato e non anche quando l'assoluzione sia determinata dall'accertamento dell'insussistenza di sufficienti elementi di prova circa la commissione del fatto o l'attribuibilità di esso all'imputato" (cioè quando l'assoluzione sia stata pronunziata a norma dell'art. 530, c. 2, c.p.p.
CTU: la parte può contestarla anche in comparsa conclusionale e in appello
(Cassazione, SS.UU. Civili, sentenza 21 febbraio 2022, n. 5624)
Componendo un contrasto interpretativo sviluppatosi in seno alla giurisprudenza di legittimità, le Sezioni Unite della Corte di cassazione hanno avuto occasione di affermare una serie di importanti principi di diritto in tema di consulenza tecnica d'ufficio, con particolare riferimento ai limiti e alle preclusioni riguardanti la possibilità di sollevare critiche e rilievi alla stessa:
- le contestazioni e i rilievi critici delle parti alla consulenza tecnica d'ufficio - ove non integrino eccezioni di nullità del procedimento - costituiscono argomentazioni difensive che possono essere formulate per la prima volta anche in comparsa conclusionale o in appello, a condizione che non introducano nuovi fatti costitutivi, modificativi o estintivi, nuove domande o eccezioni o nuove prove ma si riferiscano all'attendibilità e alla valutazione delle risultanze della c.t.u. e siano dirette a sollecitare il potere valutativo del giudizio in merito a tale mezzo istruttorio;
- quando invece esse integrino eccezioni di nullità relative al procedimento, soggiacciono al regime delle nullità stabilito dagli artt. 156 e 157 c.p.c.;
- il termine entro il quale le parti devono trasmettere al consulente le proprie osservazioni sulla relazione peritale (ex art. 195, u.c., c.p.c.) ha natura ordinatoria e funzione acceleratoria, esaurendo la sua funzione all'interno del sub-procedimento che si conclude con il deposito della relazione da parte del consulente; di conseguenza, la mancata prospettazione al c.t.u. di critiche e osservazioni non preclude alla parte di sollevarle anche nel prosieguo del giudizio, in comparsa conclusionale o in appello (sempre che, ancora una volta, non integrino eccezioni di nullità del procedimento);
- se le critiche e le osservazioni alla c.t.u. sono state proposte oltre i termini concessi a tal fine alle parti - e quindi anche per la prima volta in conclusionale o in appello -, il giudice può valutare se tale comportamento sia stato o meno contrario al dovere di comportarsi in giudizio con lealtà e probità; ove tale valutazione abbia esito positivo, il giudice può tenerne conto in sede di regolamentazione delle spese processuali ex art. 92, c. 1, c.p.c., trattandosi di un comportamento processuale idoneo a pregiudicare il diritto fondamentale della parte alla durata ragionevole del processo ai sensi dell'art. 111 Cost.
Usucapione, non basta l'utilizzo del fondo per la coltivazione
(Cassazione, Sez. II Civile, ordinanza 15 febbraio 2022, n. 4931)
La Corte di cassazione ha avuto modo di affermare una serie di principi interessanti in tema di usucapione, prendendo in esame in particolare gli elementi costitutivi della fattispecie e i connessi oneri probatori.
In primo luogo, chi chiede accertarsi l'intervenuta usucapione ha l'onere di dimostrare di aver esercitato sul bene un potere di fatto che si è manifestato in un'attività corrispondente all'esercizio del diritto di proprietà.
Egli deve dimostrare non solo il corpus - provando di avere la disponibilità materiale del bene - ma anche l'animus possidendi per il tempo necessario a usucapirlo.
Nella vicenda esaminata, la Suprema Corte ha affermato che:
- l'attività di coltivazione del fondo non è di per sé sufficiente a provare l'usucapione, perché non esprime da sé in modo inequivocabile l'intento del coltivatore di possedere;
- a tal fine è necessario che l'attività materiale, corrispondente all'esercizio del diritto di proprietà, sia accompagnata da indizi univoci che consentano di presumere che essa è svolta uti dominus;
- la c.d. interversione del possesso non può aver luogo mediante un semplice atto di volizione interna ma si deve esprimere in una manifestazione esteriore dalla quale sia possibile desumere che il detentore abbia iniziato a esercitare il potere di fatto sulla cosa esclusivamente in nome proprio e non più in nome altrui;
- questa manifestazione esteriore deve essere rivolta contro il possessore, in modo che questi sia posto in grado di rendersi conto dell'avvenuto mutamento e della concreta opposizione al suo possesso.
Appalti, l'avvalimento opera non solo per la qualificazione ma anche per la valutazione dell’offerta
(Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 25 marzo 2021, n. 2526)
In questa interessante decisione il Consiglio di Stato affronta la questione del c.d. "avvalimento premiale", cioè della possibilità di ricorrere all'istituto dell'avvalimento non solo ai fini della qualificazione ma anche per il riconoscimento di un punteggio maggiore nella valutazione dell'offerta tecnica, quando sia formulata tenendo in considerazione le competenze, risorse e capacità effettivamente trasferite all’operatore economico ausiliato.
La funzione essenziale dell'avvalimento è quella di legittimare, in un'ottica di favor partecipationis, l’ampliamento della platea dei potenziali concorrenti alle procedure di gara, attraverso l’abilitazione all’accesso di operatori economici che, pur privi dei necessari requisiti, dei mezzi e delle risorse richieste dal bando, siano in grado di acquisirli grazie alla collaborazione di soggetti terzi, che ne garantiscano la messa a disposizione per la durata del contratto.
L'attitudine a dotare un operatore economico (che ne sia privo) dei requisiti economico-finanziari, delle risorse professionali e dei mezzi tecnici necessari per partecipare alla gara costituisce il fondamento e il limite causale dell'istituto.
Non è invece consentito al concorrente di avvantaggiarsi, rispetto agli altri, delle esperienze pregresse dell’ausiliaria, ovvero di titoli o di attributi ad essa spettanti, quando il concorrente stesso possegga già, per conto proprio, le risorse necessarie per l’esecuzione della commessa; in questo caso il ricorso all'avvalimento ha il solo scopo di conseguire un mero punteggio incrementale, cui non corrisponde una reale ed effettiva qualificazione della proposta. E' quindi vietato l'avvalimento "meramente" premiale, cioè esclusivamente finalizzato ad una migliore valutazione dell’offerta, senza alcuna concreta necessità dell’incremento delle risorse.
E' del tutto fisiologica - conclude il Consiglio di Stato - l’eventualità che l’operatore economico concorrente ricorra all’avvalimento per conseguire requisiti di cui è carente e, nello strutturare e formulare la propria offerta tecnica, contempli nell’ambito della stessa anche beni prodotti o forniti dall’impresa ausiliaria ovvero mezzi, attrezzature, risorse e personale messi a disposizione da quest’ultima: in questo caso è evidente che i termini dell’offerta negoziale devono poter essere valutati ed apprezzati come tali, con l’attribuzione dei relativi punteggi, nella prospettiva di un'effettiva messa a disposizione della stazione appaltante all’esito dell’aggiudicazione e dell’affidamento del contratto.
Concessione di pubblico servizio e appalto di servizi: gli elementi distintivi
(Consiglio di Stato, sez. IV, sentenza 22 marzo 2021)
Il Consiglio di Stato ha ribadito quali sono i tratti distintivi della concessione di pubblico servizio rispetto all'appalto di servizi.
In termini generali, il rapporto di concessione di pubblico servizio si distingue dall’appalto di servizi per l’assunzione, da parte del concessionario, del rischio di domanda.
Mentre l’appalto ha "struttura bifasica" tra appaltante e appaltatore, il cui compenso grava interamente sull’appaltante, nella concessione (connotata da una "dimensione triadica"), il concessionario ha rapporti negoziali diretti con l’utenza finale, dalla cui richiesta di servizi trae la propria remunerazione.
E’ insito nel meccanismo causale della concessione che la fluttuazione della domanda del servizio costituisca un rischio traslato in capo al concessionario, anzi costituisca il rischio principale assunto dal concessionario.
La vicenda esaminata dal Consiglio di Stato riguardava l'appello contro la sentenza del Tar Lazio che aveva respinto il ricorso del concessionario contro il silenzio serbato da un'autorità portuale sull'istanza di revisione tariffaria del servizio di raccolta e avvio al trattamento dei rifiuti delle navi.
I giudici hanno chiarito che, trattandosi di connessione di servizi, non c'era alcun obbligo convenzionale di procedere alla richiesta di revisione tariffaria né alcun dovere pubblicistico dell’autorità portuale, sindacabile con l'azione avverso il silenzio (ex artt. 31 e 117 c.p.a.), di rispondere all’istanza della ricorrente.
Contratti pubblici: consorzio stabile e perdita dei requisiti da parte della consorziata non designata
(Adunanza Plenaria, sentenza 18 marzo 2021, n. 5)
Con una interessante decisione in materia di contratti pubblici, l'Adunanza Plenaria del Consiglio ha affermato il principio secondo cui l'impresa consorziata di un consorzio stabile, non designata ai fini dell’esecuzione dei lavori, è equiparabile, quanto al possesso del requisito di qualificazione, all’impresa ausiliaria nell’avvalimento; ne consegue che la perdita del requisito da parte della consorziata impone alla stazione appaltante di ordinarne la sostituzione.
A questa conclusione l'Adunanza Plenaria è giunta muovendo dalla constatazione della differenza che intercorre tra il consorzio stabile [ex art. 45, comma 2, lett. c), Codice contratti] e il consorzio ordinario (artt. 2602 e ss. cod. civ.).
Il consorzio ordinario, pur essendo un autonomo centro di rapporti giuridici, non determina l’assorbimento delle aziende consorziate in un organismo unitario costituente un’impresa collettiva, né esercita in modo autonomo e diretto attività imprenditoriale, ma si limita a disciplinare e coordinare, attraverso un’organizzazione comune, le azioni degli imprenditori riuniti.
Per contro, il consorzio stabile è caratterizzato per la “comune struttura di impresa”; qui i partecipanti danno vita a una stabile struttura di impresa collettiva, la quale, oltre ad avere una propria soggettività giuridica e autonomia anche patrimoniale, rimane distinta e autonoma rispetto alle aziende dei singoli imprenditori ed è strutturata, quale azienda consortile, per eseguire, anche in proprio (ossia senza l’ausilio necessario delle strutture imprenditoriali delle consorziate), le prestazioni affidate in base al contratto.
Per le consorziate non designate per l'esecuzione dei lavori, il consorzio si limita a mutuare i requisiti oggettivi, senza che ne discenda alcun vincolo di responsabilità solidale in caso di omessa o errata esecuzione dell'opera (a differenza di quanto accade alla consorziata designata); il rapporto è quindi simile, anche se in forma attenuata, a quello che si verifica nella fattispecie dell'avvalimento, dato che il consorziato presta i requisiti senza partecipare all'offerta (come fa l'impresa avvalsa), ma senza responsabilità (diversamente dall'impresa avvalsa).
Non c'è motivo per riservare al consorzio, che si avvale dei requisiti di un consorziato non designato, un trattamento diverso da quello riservato a un qualunque partecipante, singolo o associato, che ricorre all’avvalimento: in ambedue i casi, in base all'art. 89 comma 3 del codice dei contratti, ove venga meno il requisito “prestato”, l’impresa avvalsa potrà, anzi, dovrà essere sostituita.
Concessioni di aree demaniali marittime: va garantita la piena concorrenza
(Cons. Stato, sez. IV, sentenza 16 febbraio 2021, n. 1416)
Nel richiamare i principi espressi dalla giurisprudenza della Corte di giustizia UE, il Consiglio di Stato ha affermato che il mancato ricorso a procedure di selezione aperta, pubblica e trasparente tra gli operatori economici interessati, determina un ostacolo all’ingresso di nuovi soggetti nel mercato; ciò determina infatti un'invasione della competenza esclusiva statale in materia di tutela della concorrenza (ex art. 117, comma 2, lett. e) Cost.] e la lesione dei principi di derivazione europea in materia [ex art. 117, comma 1, Cost.].
Il principio si estende anche alle concessioni demaniali marittime con finalità turistico ricreative le quali hanno come oggetto un bene/servizio limitato nel numero e nell’estensione a causa della scarsità delle risorse naturali. La spiaggia è infatti un bene pubblico demaniale (art. 822 c.c.), come tale inalienabile e impossibilitato a formare oggetto di diritti a favore di terzi (art. 823 c.c.); la limitatezza nel numero e nell’estensione, oltre che la natura prettamente economica della gestione - fonte di indiscussi guadagni -, giustificano il ricorso a procedure comparative per l’assegnazione.
Qualsiasi normativa nazionale o regionale in materia deve perciò ispirarsi alle regole dell'Unione Europea sulla indizione delle gare, data l’efficacia diretta delle pronunce della Corte nell’ordinamento interno degli Stati membri.
Contratti pubblici, interesse a ricorrere e lesione della sfera giuridica del ricorrente: i chiarimenti del Consiglio di Stato
(Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 12 gennaio 2021, n. 394)
Chiamato a risolvere una complessa vicenda processuale relativa a una procedura di affidamento di un "contratto attivo" (la vendita di un complesso immobiliare di proprietà pubblica), il Consiglio di Stato ha avuto modo di ribadire alcuni importanti principi processuali:
-> l'interesse a ricorrere si sostanzia nell'utilità o nel vantaggio (materiale e morale) che il ricorrente può ricavare dall'accoglimento della domanda proposta in giudizio; esso presuppone una lesione attuale e concreta alla situazione soggettiva del privato ricorrente;
-> salvi i casi di esclusione dalla procedura o di impugnabilità del bando nei limiti fissati dalla giurisprudenza, la lesione della sfera giuridica del concorrente è concreta e attuale solo con l’adozione del provvedimento di aggiudicazione definitiva ad concorrente;
-> l’interesse individuale che legittima la proposizione del ricorso non può invece coincidere con l’astratta aspirazione al ripristino della legalità violata dalla stazione appaltante in uno degli atti interni della procedura, mentre l’utilità finale che l’operatore intende conseguire mediante il giudizio è pur sempre l’affidamento dell'appalto, che, a seguito di aggiudicazione ad altri, gli è definitivamente preclusa.
Risarcimento danni da mancata aggiudicazione di gara d'appalto: il lucro cessante e il danno curriculare
(Tar Toscana, sez. I, sentenza 13 ottobre 2020, n. 1200)
Una pronuncia interessante, quella del Tar Toscana, che affronta la questione delle modalità di liquidazione del danno da mancata aggiudicazione di una gara d'appalto, in una vicenda nella quale i lavori appaltati erano già stati eseguiti al momento della decisione.
Nell'accogliere il ricorso del concorrente secondo classificato, dichiarate improcedibili per sopravvenuto difetto di interesse le azioni di annullamento, inefficacia del contratto ed eventuale subentro nell’atto negoziale (essendo ormai stati realizzati i lavori), l'unica forma di tutela che residua a favore del ricorrente è quella in forma specifica.
In particolare, il collegio toscano si sofferma sui criteri di liquidazione del lucro cessante da mancata aggiudicazione e del c.d. danno curriculare:
--> in mancanza di altri parametri, il risarcimento del lucro cessante da mancata aggiudicazione va liquidato in via equitativa ricorrendo all'orientamento giurisprudenziale che ritiene ammissibile, in mancanza di prova del c.d. aliunde perceptum (cioè l'utile alternativo che l'impresa può avere acquisito svolgendo attività alternative rispetto a quella che avrebbe dovuto eseguire, ove avesse ottenuto il servizio in appalto), una liquidazione di tale ammontare nella misura del 10% dell’offerta della ricorrente;
--> quanto al danno curriculare - pur rilevando che alcuni orientamenti giurisprudenziali richiedono al danneggiato la prova della perdita di ulteriori commesse pubbliche o altre ricadute negative, in termini di minore redditività, sulla propria immagine commerciale - il Tar Toscana ritiene ammissibile una liquidazione in via equitativa, trattandosi di mancato guadagno conseguente all'impossibilità di utilizzare le referenze derivanti dall'esecuzione dell'appalto che non potrebbe essere mai provato nel suo preciso ammontare; nella fattispecie, il collegio ha ritenuto equo liquidare il danno nella misura del 3% dell’offerta articolata dalla ricorrente.
Contratti pubblici, avvalimento dell'attestazione SOA: l'intervento dell'Adunanza Plenaria
Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, sentenza 16 ottobre 2020, n. 22)
L'Adunanza Plenaria, chiamata a risolvere il quesito sulla nullità o meno della clausola con la quale, in caso di appalti di lavori pubblici di importo pari o superiore a 150.000 euro, sia consentito il ricorso all’avvalimento dell’attestazione SOA soltanto da parte di soggetti che posseggono una propria attestazione SOA, ha affermato i seguenti principi di diritto:
--> è nulla la clausola del disciplinare di gara che subordini l’avvalimento dell’attestazione SOA alla produzione, in sede di gara, dell’attestazione SOA anche della stessa impresa ausiliata;
--> la nullità in questione è una nullità parziale limitata alla clausola, da considerare non apposta, che non si estende all’intero provvedimento, il quale conserva natura autoritativa;
--> i provvedimenti successivi adottati dall’amministrazione, che facciano applicazione o comunque si fondino sulla clausola nulla - compresi il provvedimento di esclusione dalla gara o la sua aggiudicazione - vanno impugnati nell’ordinario termine di decadenza, anche per far valere l’illegittimità derivante dall’applicazione della clausola nulla.
Appalti: il punto sulla verifica dell'anomalia e la suddivisione in lotti
(Consiglio di Stato, sentenza 14 ottobre 2020, n. 6209)
Il Consiglio di Stato ha ribadito una serie di principi consolidati in giurisprudenza riguardo a due tra i temi più controversi in materia di contratti pubblici: la verifica dell'anomalia dell'offerta e la suddivisione di un appalto in lotti:
>> Verifica dell'anomalia dell'offerta
- il procedimento di verifica dell'anomalia dell'offerta ha lo scopo di accertare l'attendibilità e la serietà dell'offerta stessa e l'effettiva possibilità dell'impresa di eseguire correttamente l'appalto alle condizioni proposte; l'obiettivo è garantire e tutelare l'interesse pubblico concretamente perseguito dalla Pa attraverso la procedura di gara per l'effettiva scelta del miglior contraente possibile ai fini dell'esecuzione dell'appalto;
- la valutazione della stazione appaltante ha natura globale e sintetica ed è espressione di un tipico potere tecnico-discrezionale insindacabile in sede giurisdizionale, salvo che la manifesta e macroscopica erroneità o irragionevolezza dell'operato renda palese l'inattendibilità complessiva dell'offerta;
- il procedimento di verifica dell'anomalia non ha carattere sanzionatorio e non ha per oggetto una capillare «caccia all'incongruenza» né la ricerca di specifiche e singole inesattezze dell'offerta economica; esso mira invece ad accertare se in concreto l'offerta, nel suo complesso, sia attendibile e affidabile in relazione alla corretta esecuzione del contratto;
- sussiste un analitico e puntuale obbligo di motivazione solo nel caso in cui la Pa esprima un giudizio negativo sulle giustificazioni, mentre tale onere non sussiste in caso di esito positivo del giudizio di congruità dell’offerta essendo sufficiente in questo caso motivare il provvedimento per relationem alle giustificazioni presentate dal concorrente, sempre che esse non siano manifestamente illogiche;
- il giudice amministrativo può sindacare le valutazioni della Pa sotto il profilo della logicità, ragionevolezza e adeguatezza dell’istruttoria, non può invece verificare la congruità dell’offerta e delle singole voci, ciò rappresentando un’inammissibile invasione della sfera propria della Pubblica amministrazione;
- anche l’esame delle giustificazioni prodotte dai concorrenti a dimostrazione della non anomalia della propria offerta, rientra nella discrezionalità tecnica della Pa: il giudice di legittimità può quindi esercitare il proprio sindacato soltanto in caso di macroscopiche illegittimità, quali gravi ed evidenti errori di valutazione oppure valutazioni abnormi o inficiate da errori di fatto, ferma restando l’impossibilità di sostituire il proprio giudizio a quello della Pa
>> Suddivisione di un appalto in lotti
- in materia di appalti pubblici è principio di carattere generale la preferenza per la suddivisione in lotti, in quanto diretta a favorire la partecipazione alle gare delle piccole e medie imprese; il principio non costituisce peraltro una regola inderogabile: l'art. 51 del codice dei contratti consente alla stazione appaltante di derogarvi per giustificati motivi, che devono essere puntualmente espressi nel bando o nella lettera di invito, essendo il precetto della ripartizione in lotti funzionale alla tutela della concorrenza;
- la scelta della stazione appaltante circa la suddivisione in lotti costituisce una decisione normalmente ancorata a valutazioni di carattere tecnico-economico; il concreto esercizio del potere discrezionale della Pa deve essere funzionalmente coerente con il bilanciato complesso di interessi pubblici e privati coinvolti dal procedimento; il potere discrezionale è delimitato, oltre che da specifiche norme del codice dei contratti, anche dai principi di proporzionalità e di ragionevolezza; sicché non può ritenersi preclusa alla stazione appaltante la possibilità di suddividere l’appalto in lotti di importo elevato se tale scelta risponda all’esigenza di tutelare l’interesse pubblico;
- la valutazione discrezionale della Pa è sindacabile in sede giurisdizionale sotto l’aspetto della ragionevolezza e proporzionalità e dell’adeguatezza dell’istruttoria, non in base a meri criteri di opportunità;
- la decisione di limitare l’aggiudicazione di tutti i lotti allo stesso concorrente (c.d. “vincolo di aggiudicazione) costituisce una facoltà discrezionale della Pa, il cui mancato esercizio non costituisce di per sé sintomo di illegittimità;
- la violazione del principio di concorrenza non può desumersi dalla sola circostanza che i lotti siano stati aggiudicati tutti al medesimo operatore economico, trattandosi di un elemento neutro, di per sé solo non indicativo di vizi nella strutturazione della gara;
- l’aggiudicazione di tutti i lotti al medesimo operatore può semplicemente discendere dalla sua capacità di offrire la prestazione oggetto di gara a migliori condizioni;
- la violazione del principio di concorrenza, non discriminazione, trasparenza e proporzionalità di cui all’art. 30 del d.lgs. n. 50/2016 deve essere dedotto fornendo concreti elementi induttivi, desunti dalla specifica disciplina di gara
Contratto pubblici, il principio di rotazione non si applica nelle procedure aperte
(Consiglio di Stato, sentenza 13 ottobre 2020, n. 6168)
Il principio di rotazione degli affidamenti non si applica nel caso in cui la stazione appaltante decida di selezionare l’operatore economico mediante una procedura aperta, che non preveda una preventiva limitazione del numero di operatori economici tra i quali effettuare la selezione (ad esempio, attraverso inviti); trattandosi di principio posto a tutela della concorrenza, esso non opera quando il nuovo affidamento avvenga tramite procedure ordinarie o comunque aperte al mercato, nelle quali la stazione appaltante - in virtù di regole prestabilite dal Codice dei contratti pubblici o dalla stessa stazione appaltante in caso di indagini di mercato o consultazione di elenchi - non operi alcuna limitazione in ordine al numero di operatori economici tra i quali effettuare la selezione.
La rotazione trova infatti la propria ragion d’essere in presenza di procedure di tipo ristretto, in quanto l’esclusione del gestore uscente dal novero degli operatori economici suscettibili di essere invitati alla procedura garantisce l’avvicendamento tra gli stessi.
Affidamento di contratti pubblici: i requisiti del consorzio stabile
(Consiglio di Stato, sentenza 13 ottobre 2020, n. 6165)
Il Consiglio di Stato chiarisce che, per identificare l'esistenza di un consorzio stabile [operatore economico ammesso a partecipare alle procedure di affidamento di contratti pubblici ai sensi dell'art. 45, comma 2 lett. c), d.lgs. 50 del 2016], l'elemento essenziale è quello c.d. teleologico: vale a dire, l'astratta idoneità del consorzio, esplicitamente prevista nello statuto consortile, di operare con un'autonoma struttura di impresa, capace di eseguire, anche in proprio, ovvero senza l'ausilio necessario delle strutture imprenditoriali delle consorziate, le presentazioni previste nel contratto, ferma restando la facoltà per il consorzio, che abbia tale struttura, di eseguire le prestazioni, nei limiti consentiti, attraverso le consorziate (>> clicca qui per approfondimenti)
La funzione dell’istituto è quella di garantire alle piccole e medie imprese di partecipare a procedure di gara alle quali non avrebbero potuto partecipare facendo leva solo sulla capacità della singola impresa consorziata, beneficiando al tempo stesso di un rapporto mediato tra l’amministrazione e la consorziata dato proprio dal consorzio e dalla struttura consortile.
Il riferimento espresso dell'art. 45 del codice dei contratti alla “comune struttura di impresa” induce a concludere nel senso che costituisce un requisito imprescindibile del consorzio l’esistenza di un’azienda consortile, intesa nel senso civilistico di “complesso dei beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa”.
Ciò non significa, tuttavia, che sia necessaria la nascita di un soggetto integralmente slegato dalle imprese consorziate, cioè di un’impresa necessariamente portata all’esecuzione in proprio del contratto, il che renderebbe inutile l’istituto stesso del consorzio stabile.
Appalti: in caso di cessione di azienda o trasformazione di società, il cessionario può subentrare nella posizione di contraente?
(Consiglio di Stato, sentenza 12 ottobre 2020, n. 6101)
Il Consiglio di Stato, richiamando la propria giurisprudenza e il parere Anac n. 1/2018, chiarisce che il cessionario può subentrare nella posizione di contraente, in luogo dell'originario aggiudicatario, previo accertamento dei requisiti generali e speciali richiesti per la partecipazione alla gara.
L’atto di cessione di azienda abilita la società subentrante, previa verifica dei contenuti effettivamente traslativi del contratto di cessione, a utilizzare i requisiti maturati dalla cedente e che sono certamente riconducibili al patrimonio di una società o di un imprenditore cessionari prima della partecipazione alla gara di un ramo d’azienda, poiché essi devono considerarsi compresi nella cessione in quanto strettamente connessi all’attività propria del ramo ceduto.
Redditi dei coniugi, sì all'accesso difensivo
(Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, sentenza 25 settembre 2020, n. 19)
L'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, risolvendo un contrasto interpretativo, chiarisce che i documenti reddituali dei coniugi possono essere oggetto di accesso difensivo.
In particolare le dichiarazioni, le comunicazioni e gli atti comunque acquisiti dall’amministrazione finanziaria, contenenti i dati reddituali, patrimoniali e finanziari, e inseriti nelle banche dati dell’anagrafe tributaria costituiscono documenti amministrativi ai fini dell’accesso documentale difensivo, che può essere esercitato indipendentemente dalla previsione e dall’esercizio dei poteri processuali di esibizione di documenti amministrativi e di richiesta di informazioni alla pubblica amministrazione nel processo civile o dalla previsione dall’esercizio dei poteri istruttori d’ufficio del giudice civile nei procedimenti in materia di famiglia.
L’accesso difensivo ai documenti contenenti i dati reddituali, patrimoniali e finanziari, presenti nell’anagrafe tributaria può essere esercitato mediante estrazione di copia.
Docenti della scuola, inserimento nelle graduatorie permanenti: la giurisdizione spetta al giudice amministrativo
(Cass., Sezioni Unite civili, ordinanza 23 aprile 2020, n. 8098)
Le Sezioni Unite hanno stabilito che, per individuare il giudice competente sulle controversie concernenti il diritto dei docenti della scuola pubblica all'inserimento in una graduatoria a esaurimento (già permanente), occorre fare riferimento al c.d. petitum sostanziale, cioè all'oggetto della domanda:
1) se viene chiesto l'annullamento dell'atto amministrativo generale o normativo, e solo quale effetto della rimozione di tale atto (che di per sé impedisce il soddisfacimento della pretesa del docente all'inserimento in una determinata graduatoria) l'accertamento del diritto del ricorrente all'inserimento in quella graduatoria, la giurisdizione spetta al giudice amministrativo, essendo proposta in via diretta una domanda di annullamento di un atto amministrativo;
2) se invece la domanda giudiziale è volta all'accertamento del diritto del singolo docente all'inserimento nella graduatoria, sull'assunto secondo cui tale diritto scaturisca direttamente dalla normazione primaria, eventualmente previa disapplicazione dell'atto amministrativo che potrebbe precludere l'inserimento, la giurisdizione spetta al giudice ordinario.
Risarcimento danni da lesione di interesse legittimo pretensivo: il giudizio prognostico investe tutti gli aspetti che la Pa avrebbe potuto o dovuto esaminare
(C. Stato, sentenza 30 marzo 2020, n. 2161)
Il Consiglio di Stato ha affermato che, nel giudizio di risarcimento danni per lesione di interesse legittimo pretensivo, ai fini della prognosi sulla spettanza del c.d. "bene della vita" la cognizione è estesa a tutti i possibili aspetti che avrebbero potuto o dovuto essere esaminati dalla Pa per provvedere sull'istanza del privato, e non solo ai profili esaminati nel precedente giudizio di annullamento del diniego illegittimo, sui quali si è formato il giudicato.
Appalti, la mancata indicazione degli oneri di sicurezza e dei costi della manodopera causa l'esclusione del concorrente?
(C. Stato, Adunanza Plenaria, sentenza 2 aprile 2020, n. 7)
L'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato risolve due questioni interpretative in materia di appalti, riguardanti in particolare la mancata indicazione degli oneri di sicurezza e dei costi della manodopera, sulle quali era insorto un contrasto nella giurisprudenza amministrativa.
I due quesiti erano i seguenti:
1. se la mancata indicazione separata degli oneri di sicurezza aziendale determini immediatamente e incondizionatamente l’esclusione del concorrente, senza possibilità di soccorso istruttorio, anche quando non è in discussione l’adempimento da parte del concorrente degli obblighi di sicurezza, né il computo dei relativi oneri nella formulazione dell’offerta, né vengono in rilievo profili di anomalia dell’offerta, ma si contesta soltanto che l’offerta non specifica la quota di prezzo corrispondente a questi oneri;
2. se, ai fini dell'eventuale operatività del soccorso istruttorio, rilevi o meno il fatto che la lex specialis richiami espressamente l’obbligo di dichiarare gli oneri di sicurezza.
L'Adunanza Plenaria ha risolto i quesiti applicando i principi affermati dalla Corte di giustizia Ue nella sentenza 2 maggio 2019 (causa C-309/18), vale a dire:
>> La mancata indicazione separata dei costi della manodopera, in un’offerta economica presentata nell’ambito di una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico, comporta l’esclusione dell'offerta senza possibilità di soccorso istruttorio, anche nell’ipotesi in cui l’obbligo di indicare i suddetti costi separatamente non fosse specificato nella documentazione della gara d’appalto, sempreché tale condizione e tale possibilità di esclusione siano chiaramente previste dalla normativa nazionale relativa alle procedure di appalti pubblici espressamente richiamata in detta documentazione; tuttavia, se le disposizioni della gara d’appalto non consentono agli offerenti di indicare i costi in questione nelle loro offerte economiche, i principi di trasparenza e di proporzionalità devono essere interpretati nel senso che essi non ostano alla possibilità di consentire agli offerenti di sanare la loro situazione e di ottemperare agli obblighi previsti dalla normativa nazionale in materia entro un termine stabilito dall’amministrazione aggiudicatrice.
